Dall’ “ALBUM A DISEGNI” 2011
Il mio incontro con RUFFINI di Luisa MARIANI
……..Si comincia a parlare della sua opera grafica che raffigura il bracciantato, che l’ha toccato anche personalmente, ma è sempre parco nel concedersi, l’apertura vera si intravvede quando, in seguito , parlerà della sua esperienza di insegnante: “ho imparato tanto dai miei allievi”.
…………..Le opere di Giulio Ruffini sono disseminate da una ricchezza di simboli che suscitano inevitabilmente letture variegate ed intriganti interpretazioni.
……….Allora possiamo pensare i quadri di Ruffini come a sogni sognati da sveglio ed è come se la sua mano sapiente, che crea graffi e carezze, spatolate e ricami sulla tela, ci conducesse nei meandri della sua mente suscitando affetti, sensazioni, emozioni, provocando una condivisione di sentimenti che ci catapulta in una eccitante dimensione onirica.
Ruffini si offre di accompagnarmi nel suo fantasmagorico atelier, mi lascia entrare in alcune delle sue visioni, mi permette di aggirarmici dentro, di farle vibrare in me per poterle risognare, dando loro un mio significato. Ed è proprio da un quadro del 1994 dal titolo “Violenza Freudiana” che iniziamo il nostro percorso a zonzo tra immagini e pensieri. Questo dipinto rappresenta una sorta di paesaggio metafisico, forse lunare, dove abitano solitari brandelli di corpi femminili apparentemente inerti e gelificati in statue, uno di questi, in primo piano, è trafitto da un braccio che lo penetra, nel pube c’è una serratura con una chiave inserita, è una promessa o una minaccia di possibile ingresso?? Tutto questo scenario avviene sotto l’occhio impassibile di Freud il cui volto appare sul lato sinistro della tela. Il rapporto sessuale adombrato nella scena è rappresentato come un atto aggressivo, violento, come se lo può immaginare la mente di un bambino. Ma è solo questa la violenza che suggerisce il titolo del dipinto? O c’è anche la violenza del pensiero di Freud che si introduce nell’intimità delle menti?
…….Come libera associazione passiamo a considerare il “piccolo monumento al veggente” opera inquietante: su fondo scuro un occhio ciclopico è situato nel volto di un busto pietrificato, statua o sasso o pezzo di persona disumanizzata, appoggiato a m’o di soprammobile su di un tavolo di legno chiaro, su cui è mollemente adagiato un tralcio di foglie secche accartocciate. Dall’occhio enorme parte un raggio di luce che illumina freddo, cinico, curioso e lo sguardo sembra diventare diabolicamente umano e ci perfora come una lama indagatrice, ci attrae con una forza magnetica inesorabile che ci impedisce di sottrarci alla sua impudenza.
…….il “poeta veggente”, qui l’occhio attento si trova su una sagoma di legno in compagnia degli attrezzi del mestiere dell’artista: un libro aperto, calamaio e penna, fogli colorati, un uovo con crepa, un tubo, un sasso-palla, lo sguardo ligneo del poeta va diretto sul libro, indica le parole. Se si guarda con attenzione , nella figura si intravvede il profilo di un cuore, c’è qualcosa di dolce che scalda la scena, tra l’altro il palcoscenico di questa rappresentazione è costituito da un tavolo, tavolo di legno, il legno è caldo, è vivo, e accogliente. In spagnolo legno si dice “madera”, dal latino “mater”: il tavolo di legno potrebbe raffigurare la madre simbolica di Ruffini, motivo ricorrente che appare nella stupefacente serie intitolata “ il tavolo del poeta”. …………. E la sua storia di bambino la viviamo nei molteplici ritratti di sua madre, ma anche della nonna, due figure femminili importanti che forse fanno pulsare i cuori che percorrono i suoi quadri e che lasciano intravvedere il vibrare delle emozioni, dei sentimenti, a volte, pudicamente celati nelle trasfigurazioni spaventose e raggelanti.
Il terrore senza nome degli incubi appare nella “natura morta su una spiaggia con apparizione”, è un olio su masonite che raffigura una spiaggia giallastra su cui giacciono inermi conchiglie, pesci morti, chiocciole, sassi…….ma ecco l’apparizione terrifica: un gigantesco pidocchio occupa e illumina gelidamente la scena, lo sguardo è beffardo e perturbante, allunga le sue zampe invasive sulla natura morta sprigionando una forza ancestrale in un abbraccio fulminante. Sembra davvero un racconto kafkiano. Ma come mai un pidocchio dominatore? Perché u n pidocchio sterminatore? I pidocchi invadono la testa: Che sia la rappresentazione di un incontenibile pensiero infestante? Come si possono bonificare i pensieri parassiti??
In un'altra serie di quadri, “gli Incidenti” Ruffini sembra rivelare che nella vita, ha incontrato pensieri –pidocchio angoscianti, ha attraversato una serie di pericoli, è incappato in inciampi forse non solo nel mondo reale, ma anche nel mondo interno, ma è proprio con la loro rappresentazione nella scena pittorica che ha trovato il modo per metabolizzare l’angoscia.
Mi piace pensare che , per esempio, nella splendida tela intitolata “Ti costruisco Pinocchio” il pittore trovi uno spiraglio, un sollievo all’ansia del vivere, infatti Pinocchio è la storia di una trasformazione: Il burattino è costruito con assi di legno, lo sfondo è chiaro, dalla punta del suo naso bugiardo pende una cordicina su cui sono appesi una farfalla, un’elica, un cuore, un “due di cuori”, un galletto ed infine un bambolotto. Il volare della farfalla e dell’elica, gli affetti del cuore e della carta da gioco, la vitalità del galletto, l’unione del maschile col femminile sembrano dar forma al bambolotto, che è di celluloide, è vero, ma fa presagire un alito di vita che gli conferirà sangue e carne , con un pieno riconoscimento della sua umanità. Forse questa allegoria trasformativa allude anche alla capacità generativa del pittore, al processo di introiezione di stimoli e alla loro elaborazione per cui si sostanziano dentro di lui tramite un’assimilazione personalissima da cui germinerà la sua creazione.
………..Sono approdata nell’opera grafica di Ruffini, dove l’impatto è solo apparentemente meno forte, è un’impressione ingannevole, perché in maniera subdola, i tratti disegnati col gessetto o con la china o con i carboncini ………… lasciano segni che , a poco a poco, catturano l’anima imprimendole sensazioni intense, le più disparate, da un senso di vigore si passa a un vago sfinimento; mi sento soffusa, in particolare, da una malìa inebriante, è il canto delle nostalgie, delle tristezze, delle paure, che risuonano così profonde ed incisive da penetrarmi la carne.
………………Non e’ assolutamente vero che il bianco e nero sia meno toccante del colore, è un tocco differente, particolare, possiede, in realtà, una forza magnetica che attrae per la sua dimensione estetica, intesa proprio nel senso etimologico del termine, a isthesis, dove la connotazione intrinseca è la sensorialità, è l’espressione ultima del rapporto mente- corpo e dove le emozioni colorano una tavolozza interna che dà forma a una gamma di sentimenti che vanno dalla dolcezza alla violenza.
…….La mano di Ruffini corre spasmodica sui fogli e declina temi sociali, come per esempio la campagna, i lavori agricoli o temi dolcemente affettivi, come il ritratto della figlia bambina o del nipotino, oppure immortala la madre e la nonna. Ma compare anche femmina impudica, quella fantasticata desiderata e proibita, donna da venerare e da distruggere. La donna, insomma, è cantata in tutti i suoi aspetti: c’è la donna idealizzata, tenera, accudente, lavoratrice, pensosa e c’è la donna erotica, misteriosa, sconosciuta, addirittura spregevole, è “ quell’oscuro oggetto del desiderio” di bunuelliana memoria, che diventa quasi un’ossessione e che lo porta, per antonomasia, ad una ricerca instancabile del perturbante femminino. E dunque anche per Ruffini la donna che , per antonomasia, è la quintessenza e prototipo di tutte le altre, da cui scaturiscono le sue fantasie mirabolanti è la madre. Madre ispiratrice di stati emotivi contrapposti e conturbanti, istigatrice di una conflittualità quasi delirante per la quale l’artista fluttua da sentimenti di adorazione estatica a religioso timore, madre percepita come fonte di piacere ineffabile e, allo stesso tempo, madre distante, straniera, madre santa, idealizzata, ma anche abietta, repulsiva.
……Sono veramente suggestive le sue visioni dell’Italia dense di una emozione emozionante creatività, cariche di significati pregnanti, Italia, amata e odiata, esaltata e svilita, osannata e degradata. Italia madre-patria, donna, amante, prostituta, investita di lancinanti passioni e di pensieri contrastanti. In un inchiostro del 1970 dal titolo “ Si disfa….” Si coglie l’amore ferito, la rabbia, la delusione, il dolore per questa terra che l’ha partorito, accolto, nutrito, allevato, ma che ha anche sentito lontana, in certo qual modo rifiutante, certamente inaccessibile, che non ha potuto possedere totalmente perché detentrice di una sua privatezza, di pensieri ed umori segreti da cui si è sentito dolorosamente escluso e per cui allora ha provato atroci sentimenti di disgusto, di denigrazione, di vendetta. E allora ecco la pensata oscenamente, odiata e concupita, resa orrida e, allo stesso tempo erotica proprio per quella sua abiezione, donna strapazzata, inanellata in collane che la penetrano e che, allo stesso tempo, sono partorite da lei.
……………… E Ruffini canta le sue mani, mani che hanno creato il mondo e in “Mia Madre” , gliene attribuisce addirittura tre, tanto è il sentimento di capacità’ che le riconosce, mani che dicono della sua forza, della sua operosità, mani di azdora, mani generose e accudenti, ma anche mani invecchiate, mani stanche, ma di una stanchezza intelligentemente inconsapevole e ricca di significato, mani che sanno, mani che non hanno rimpianti che potranno poi riposare serene e paghe del buono che hanno saputo dare.
……………L’opera grafica di Ruffini è una epifania della misteriosità e della complessità che connotano l’umano in un succedersi di nodi e snodi affettivi che lo segneranno fin dagli albori dell’esistenza e che lo accompagneranno per tutta la vit. E’ un cantore della tenerezza e della violenza delle emozioni, che, nella sua opera, vengono attraversate, trasfigurate, metabolizzate, offrendo loro una forma, creando un significante estetico, un loro linguaggio sublime e/o volgare, amandole comunque appassionatamente. Nelle sue creazioni aleggiano forza lirica, ironia perspicace, sensibilità acuta, raffinatezza del particolare e una intensità psicologica che conferiscono ai soggetti della sua produzione artistica una vita propria, tanto che le figure rappresentate, sia che siano umane od oggetti, diventano personaggi drammatici che animano pièces di sapore beckettiano. I lavori di Ruffini sono esigenti, richiedono di essere guardati annusati, ascoltati, toccati, assorbiti osmoticamente; sono opere che pretendono la disponibilità di lasciarsi penetrare, che reclamano il coraggio di accettare l’invasione dell’anima , tollerando, nell’incontro, quello che potremmo definire con Apollinaire “lo schock dell’inatteso”. |